I gigli vorrei calpestarli tutti. Detesto il loro candore, che nessuno schizzo di fango può macchiare. Maledette le metafore e le similitudini, maledetto chi me le ha soffiate nell'orecchio la prima volta. Chi ti rovina è la maestra che ti ascolta e ti chiede di “coltivare il fiore” che nessuno ti ha dato, e sigilla la frase con la firma sulla pagella, perché qualcuno ci creda davvero, che sei un poeta alto un metro e trentotto, anche se tu cos’è la poesia non puoi saperlo. (Che non può saperlo nessuno l’ho capito tardi.) Maledico anche le mie maledizioni inzuppate di nostalgia, parola che mi piaceva tanto quando giocavo al piccolo Gozzano. In realtà ci sto dentro con tutti i calzoni, in questa ossessione stanca che toglie il sonno e non dà niente in cambio: la ricerca delle parole giuste, esatte, pesate una per una, le parole schiette come il vino che allappa, le parole oneste, le parole che “ri-nominano il mondo” e altre cazzate simili. Privilegio da mendicanti con la mano stesa ...