Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da 2024

Di cosa avrebbe dovuto pentirsi

  Sua la penitenza non la colpa di distrarsi nel cuore dei propri aborti - purché anche il poco che resta vada perduto - il corpo non ricorda la scossa del seme nero dai denti alla slabbratura tra le cosce di lei che lo perdona se le chiede di scendere nel gelo da sola , così distrattamente nascere e fargli strada .

Dialogo

  https://www.stopgapdance.com/it-open-dialogo/ - Nastàs'ja, sei pura? - Come l'acqua della sorgente   sebbene la bevano in tanti.

Non è il vuoto né il tempo

Jane Randolph in Il bacio della pantera (1942) E adesso di quel poco d'innocenza resiste la paura di trovarti ragazza, è ancora il frutto che si spacca sei tu che avevi ancora quindici anni: io non sarei stato abbastanza nudo per darti il sangue sciolto dell'attesa in cenere la notte senza sonno dov'eri tu con il tuo amore ostile febbre del corpo offeso e intatto.

Il tu

La distinguevi dalla sua gemella per la piega astiosa della bocca - quel ricciolo di orrore per il mondo  per te era un richiamo a luce spenta. Le avevi raccontato di un fratello  nato a Parigi ma di sangue misto e sua moglie una donna di cristallo che cercava giunchiglie nella neve mentre lei fingeva di ascoltarti dopo averti promesso mezzo bacio in un angolo in fiamme dell'androne, la sorella al telefono, il bacio  diviso in due sulla linea della piega.

Nota del lettore

Un intellettuale salentino vestito da ussaro in congedo non so se per la grazia di un rimprovero o per inchiodarmi mani e cuore al mio peccato poco originale, letta una poesia con voce lenta - parlava dei nidi che mio padre sbirciava in cima ai capelli di San Pio (a settembre) - Neanche un grammo di sconcerto, niente che disturbi il ciac ciac del conformismo il fiato di un inciampo sulla fune tra bordo e riva, promessa e smacco . Così mi dice e mi sorride stanco. E io piegato nego di conoscermi non è mio il libro e non è mio il resto, giusto il rancore che invecchia foglia a foglia come un geranio al riparo di un vizio, sempre lo stesso, e nemmeno lui ha voluto credermi.

Poyais

  Avevo spedito un mucchio di racconti all’ultimo editore di una lista di centosette. La risposta arrivò dopo cinque giorni.     “La sua prosa è contraddistinta da un buon ritmo e da un’arguzia non disprezzabile” mi disse al telefono la signora Eufrasia, che dirigeva la collana Piccola narrativa . Suonava bene quel “ritmo” riferito alle mie scempiaggini.  “Non disprezzabile” significava “apprezzabile”, o la negazione esalava una sfumatura di disgusto? Inutile sottilizzare.  I pochi editori che mi avevano risposto fino allora, non erano stati così benevoli. C’erano stati quelli circostanziati: “Ho letto le sue cose con molta attenzione e devo dirLe che, purtroppo, con rincrescimento e considerate le carenze stilistico-strutturali, la mancanza, formale e sostanziale, di una visione delle realtà che esuli dall’introflessione egotistica nel privato eccetera”. Quelli quasi incoraggianti: “Originali sono originali…”. Quelli allusivi: “Per la depres...

In scena

Cornelis Escher. Tre sfere II, 1946, litografia PRIMA Nerio aveva portato le mie borse per tre chilometri il giorno in cui rischiavo di perdere il treno. Quasi mi salvò la vita, quando mi prestò il denaro che non avevo avuto il coraggio di chiedergli. Per qualche mese abbiamo amato la stessa ragazza, abbiamo litigato ma siamo rimasti amici. Nerio: attore, atleta, mezzofondista formidabile (avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi).  Ci eravamo conosciuti in teatro. Facevamo parte di una compagnia di filodrammatici.  Mettevamo in scena commedie napoletane: Scarpetta, Eduardo, Viviani. A me davano parti in lingua, perché col napoletano ero scarso. Quasi sempre il nobile in disarmo, a volte il prete o l’avvocato maneggione. Nerio invece addomesticava le parole come nessuno; ti sparava dei gramelot incredibili: un genovese, sentendo il suo strascico di  ueh e sfaccimme, lo avrebbe detto di Afragola; un napoletano il suo finto ligure se lo sarebbe bevuto in un sorso. Un gio...

L'Olio del Poeta

  Ho fatto parecchie domande al poeta Lucio Toma. Di punti interrogativi ce ne sono pochi: le domande che mi interessavano erano le sue. In un primo momento avevo pensato di arrivare alla poesia per vie laterali, perché non mi piace giocare al critico letterario. Ma così rischiavo di non centrare il punto. Per fortuna c’è la poesia, intesa come prodotto finito. Si è parlato di quella. E anche di qualcos’altro, che ha a che fare con la poesia e con la terra.   Molti anni fa – non ci conoscevamo ancora – lessi una tua poesia pubblicata sulla rivista omonima [1] . Iniziava così: “Riprendere la parola nascosta / che oracola brandelli / d’universo…”. Mi piacquero molto quei versi, con l’uso transitivo del verbo “oracolare”.   Fu una delle mie prime poesie, e risale alla plaquette autoprodotta per i tipi de Il Cinghiale ferito del rimpianto Carlo Torelli, grande intellettuale sanseverese e mio pigmalione. Zigrinature (titolo della plaquette, N. d. R.) risente del...