Zio Vito, Gesù, la pipa, gli sbocchi di sangue.
No, non beveva. Collezionava strafalcioni di grandi scrittori e altre cose strane (elencarle). L'unica collezione sensata era quella delle pipe, che io usavo per i miei giochi fantastici (il lato negativo e quello positivo, con pipa o penna, le corse intorno al tavolo, mio padre che mi sbugiardava con disprezzo).
La moglie abbracciata alla bara.
Ho deciso di non avere successo per non rimpiangere gli anni in cui lo avevo avuto.
La "e" chiusa di "fratéllo", ripetuta in cadenze d'amore, come a chiuderne la memoria in una gabbia sonora. Le altre volte la "e" aperta per lasciarlo andare da solo sulla strada di Rodi Garganico. Le isole borromee, che lui aveva visitato, i limoni.
Una specie di destino univa le nostre strade che mai più dovevano incrociarsi.
Mia madre, le braccia in croce, dopo essersi denudata in chiesa.
Lo scemo del paese che la derideva, la nuda, la matta. Io a scuola scrivevo un tema e la odiavo, perché la sera prima mi aveva guardato con occhi di abbandono, dicendomi parole arrese.
La odiavo perché non poteva (per me non voleva) occuparsi di me, e solo suo fratello, perduto nella campagna, poteva amare come una madre.
Filena, bellissima e atletica nella fatica, mai scomposta nella volée con cui sbatteva i tappeti, lo slalom del suo profumo quando pascolava greggi nel corridoio: mai una goccia di aceto che le sporcasse il trucco, la bocca chiusa un invito a ballare, la parlata scura di amazzone campana che mi chiamava al telefono, gli occhi che raccontavano malinconie assolate, l'amore per il fratello morto a ventun anni e il lavoro, l'etica del dovere mischiata al lamento, quel suo "ho sbagliato", prezioso come un acino di uvetta nella scarola; l'eco di quella frase, che avrei baciato sillaba a sillaba, mi scavava il petto mentre scendevo le scale per incontrarla. A una bambina seduta sulle sue ginocchia chiedeva: "Sono bella?" (nessuno poteva dimenticarsene).
Il bacio, che tanto avevo desiderato e che ricambiai malamente.
Le manie, i tic, le nevrosi che la intenerivano, ora sono un marchio d'infamia (intonare le mollette agli abiti, per esempio).
Flora dominante, Gianluca il soldato che non sapeva sparare. Io che mi faccio piccolo piccolo per entrare nel cuore di Gianluca e farlo battere; io che sono il suo cuore, che sono lui.
Gaudenzio e il Signor Belvedere (il giro del mondo, suo e del figlio fisico nucleare "provinato" con successo dal Bayern, il brevetto da pilota, le tre fidanzate, Michael Jackson e la tigre).
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