Salvador Dalí, Occhi |
e le assenze e gli atti mancati
e i borborigmi del disamore...
Non dici altro da quando sei sveglio
che i pavoni bianchi non esistono
in natura naturata sono uccelli
meccanici - insisti - vecchi impiegati
della
proloco cosparsi di biacca -
indichi il logo stampato sulle piume -
e anche l'albero assassinato
dall'uragano che poche mani
hanno inchiodato alla terra
è un trucco di teatro scova
nelle zolle un respiro d'acqua
Cristo di Cranach inarcato
sulla croce: è tutto finto - dici -
i pavoni e l'albero le sue
radici grigie dita artritiche
dici questo e poi mi chiedi
di guidarti la mano se provi
a descrivere una bottiglia
gli uncini della scolopendra -
non ne hai mai vista una
come puoi accarezzarla -
con la mano sulla bocca
rifai il verso dei pavoni
I pavoni bianchi non esistono
in natura naturata - sono uccelli
meccanici, vecchi impiegati
della proloco cosparsi di biacca
un trucco di teatro come l'albero
assassinato dall'uragano...
Una visita all'Isola Madre. La
sua multicolore fauna uccellesca. Quelle galline esoteriche, quegli uccelli
blu, verdi, giallo ocra, beige, avana, più timidi di John Deacon, e più
musicali, ora che John si nasconde in campagna. E quel silenzio insaccato tra
le foglie che il vento sbarella come monete. Quella sibilante narcosi del
nascondimento, degli uccelli, delle serpi, che forse mi sono inventato; dei
guardiani, dei camerieri vestiti di blu. Il colore dei cocktail che imita
quello degli uccelli, i nomi dei cocktail, gli stessi degli uccelli, la piuma
caduta nel mio bicchiere. No, per favore, non la tolga, dico al cameriere.
La bianchezza dei pavoni, il
disagio indolore che quella bianchezza di biacca mi comunica. Le ruote che i
pavoni sciolgono in un'esibizione stabilita da contratto; quella precisione dei
gesti, quell'intenzione trasmessa ai nervi, ai tendini distesi in uno sforzo di
meccanica naturalezza. E l'agonia di un albero che l'uragano non ha assassinato
del tutto. L'hanno inchiodato alla terra con dei cavi perché la prossima
tempesta non se lo porti via. Resta lì, conficcato nella sua ombra, le radici
scovano un respiro d'acqua. Ma di una morte si tratta, o di una stasi nel globo
di vetro del non ritorno all'uguale. Tutto innegabilmente vero. Tutto,
altrettanto innegabilmente, non falso, falsificato e verificato. E perciò vivo.
E io che non lo capisco, non
lo ricorderò nemmeno. Chi potrebbe dirmelo, se non lei, che di tutto fa
meraviglia. I pavoni bianchi non esistono in natura, dico: una battuta stupida.
Solo per contraddire la sua gioia. Sono vecchi impiegati della proloco
sbiancati col piombo, insisto: Vedi quelle trine male appiccicate, le schiene
che scricchiolano, gli occhi né tristi né allegri, i voli a mezz'aria da
gallina imbellettata. Se infili un dito tra le piume e le scosti piano, leggi
la scritta stampigliata sulla pelle: Città di Stresa.
Dico questo e poi le chiedo di
guidarmi la mano mentre tasto la lesione della bottiglia, gli uncini della
scolopendra che mi cammina sulla gamba.
Scemo, sono le mie dita, mi
dice lei.
Con le mani sulla bocca faccio
il verso dei pavoni.
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