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Disegno di Milius |
Le parole davanti alla musica. Così mi arrivavano le canzoni di Matteo Marolla. È stato così la prima volta che l'ho incontrato, ed è stato così le volte successive. Quando lo sentii suonare in un locale del centro storico, che poi è diventato una trattoria e poi non so. I versi di una sua canzone parlavano delle pietre e di una sposa. Mi piaceva quell'associazione misteriosa di parole che non si specchiavano l'una nell'altra. Poi ci siamo incontrati spesso. Una sera mi parlò della "Patafisica" di Alfred Jarry, un autore che diceva di conoscere poco, ma che conosceva meglio di me. E poi altri incontri di due amici che non avevano mai preso un appuntamento. Dei nostri discorsi sempre in sospeso restavano accesi i punti di una continuazione futura, possibile chissà quando, chissà dove (sì, a Sanz, dico in quale via, in quale bar). I punti di sospensione, i punti che si uniscono nel tratto di penna. Sempre le parole e l'inchiostro di mezzo. Ci incontravamo e scambiavamo opinioni sui poeti che ci andavano a genio. Cercavo di attirarlo su un terreno che sentivo più mio, rispetto alla musica, ma che – anche quello – era più suo che mio. C'era la musica delle sue canzoni, naturalmente. Ma quella nelle sue parole ci stava dentro comoda. Questo per dire che Matteo Marolla anche alle parole ha voluto bene, e non solo alle sue.
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