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Distrazioni

 

Disegno di Milius


Le parole davanti alla musica. Così mi arrivavano le canzoni di Matteo Marolla. È stato così la prima volta che l'ho incontrato, ed è stato così le volte successive. Quando lo sentii suonare in un locale del centro storico, che poi è diventato una trattoria e poi non so. I versi di una sua canzone parlavano delle pietre e di una sposa. Mi piaceva quell'associazione misteriosa di parole che non si specchiavano l'una nell'altra. Poi ci siamo incontrati spesso. Una sera mi parlò della "Patafisica" di Alfred Jarry, un autore che diceva di conoscere poco, ma che conosceva meglio di me. E poi altri incontri di due amici che non avevano mai preso un appuntamento. Dei nostri discorsi sempre in sospeso restavano accesi i punti di una continuazione futura, possibile chissà quando, chissà dove (sì, a Sanz, dico in quale via, in quale bar). I punti di sospensione, i punti che si uniscono nel tratto di penna. Sempre le parole e l'inchiostro di mezzo. Ci incontravamo e scambiavamo opinioni sui poeti che ci andavano a genio. Cercavo di attirarlo su un terreno che sentivo più mio, rispetto alla musica, ma che – anche quello – era più suo che mio. C'era la musica delle sue canzoni, naturalmente. Ma quella nelle sue parole ci stava dentro comoda. Questo per dire che Matteo Marolla anche alle parole ha voluto bene, e non solo alle sue.

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E poi la musica

  Bevevamo il Nero di Troia  cercando un vento freddo tra gli ulivi quando imbracciava la fisarmonica e io ficcato in una buca, la cera nelle orecchie, un maccaturo in bocca per non dirgli che suonava a morto che detestavo le sue canzoni  - io ero Ulisse e lui la sirena dell'amore chiaro inappagato - quando chiudeva gli occhi  e annusava il battito della campagna per inseguire le note più lontane - sorridevo balordo, gli gridavo  ancora.       Venere spastica moriva per lui ballava nel fuoco come un pipistrello.

Controscena

Cornelis Escher. Tre sfere II, 1946, litografia PRIMA Nerio aveva portato le mie borse per tre chilometri il giorno in cui rischiavo di perdere il treno. Quasi mi salvò la vita, quando mi prestò il denaro che non avevo avuto il coraggio di chiedergli. Per qualche mese abbiamo amato la stessa ragazza, abbiamo litigato ma siamo rimasti amici. Nerio: attore, atleta, mezzofondista formidabile (avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi).  Ci eravamo conosciuti in teatro. Facevamo parte di una compagnia di filodrammatici.  Mettevamo in scena commedie napoletane: Scarpetta, Eduardo, Viviani. A me davano parti in lingua, perché col napoletano ero scarso. Quasi sempre il nobile in disarmo, a volte il prete o l’avvocato maneggione. Nerio invece addomesticava le parole come nessuno; ti sparava dei gramelot incredibili: un genovese, sentendo il suo strascico di  ueh e sfaccimme, lo avrebbe detto di Afragola; un napoletano il suo finto ligure se lo sarebbe bevuto in un sorso. Un gio...