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Teo De Palma |
Teo lo conobbi circa vent'anni fa, non ricordo a casa di chi.
Un amico lì presente mi disse che era un artista e io, immaginando che Teo fosse un professore (me lo aveva presentato così, come il Professor De Palma), non capivo il significato della parola. Non la capivo nella sua essenza materiale, perché non avevo guardato i suoi quadri, che con il senso della materia e delle sue germinazioni hanno tanto a che fare.
Artista senza aggettivi, Teo: la parola "artista" dovrebbe incorporare tutte le specificazioni capaci di colorarla. Spesso si tratta di coloriture locali, che a Teo non potevano piacere, perché il suo sguardo sconfinava oltre le muraglie dell'orto paesano, arrivava a Parigi, nel Nord Europa, in America, in Polinesia, per tornare a casa con il mondo in tasca. Anche per questo non gli piacevano gli improvvisati, i "ciabattini" che si facevano chiamare "figurativi, "concettuali", "informali" "formalisti", calcando i toni sull'aggettivo.
E qui mi scuso per la mia imprecisione, quando mi rivolsi a lui dicendogli:
"Insomma, sei un artista figurativo (sic)...".
"Un artista e basta" mi rispose lui. Giusto.
Teo di lavoro faceva il professore, anche se il suo mestiere era un altro.
Ogni tanto lo incontravo per strada: andava a lavorare nel suo studio, in una traversa di Piazza Allegato. Non insegnava da qualche anno, ma usciva di casa ogni mattina per andare al lavoro.
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