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Una goccia è una goccia è una goccia




Teo de Palma



Per non parlare delle rose. Nell’opera di Teo de Palma ce ne sono tante, e tutte rivivono secondo natura.

Il titolo di un suo quadro, Il sogno che smarrii prima dell'alba, riprende un haiku di Jorge Luis Borges:

 

¿Es o no es

el sueño que olvidé

antes del alba?


(Esiste o no

il sogno che smarrii

prima dell’alba?)


de Palma lo filtra, fissandolo in un endecasillabo senza punto di domanda.

Due mani chiuse a coppa per raccogliere petali e gocce, sembrano sbucare da una ferita, eppure sono gli strumenti della vita che si perpetua. Le mani dell’artefice e quelle di chi ha sete. L’interrogativo è nella ricerca di un senso da dare alle cose, che non concedono al tempo umano l’ultima parola. Anche la fine ha la sua bellezza vitale.

La letteratura – soprattutto la poesia – e il mito hanno un ruolo essenziale nell’arte di de Palma: i titoli delle opere sono spesso versi di poeti, misteriosi, allusivi e chiarissimi, ma non si tratta di semplici citazioni: Per giorni contati come foglie richiama un epigramma del poeta Libero De Libero, che racconta un’assenza, che nella memoria di chi parla (e dipinge) diventa il frammento di un disegno ininterrotto.

Una volta un ingenuo si rivolse a Teo de Palma definendolo un "artista figurativo".

"Un artista e basta" rispose lui, e aveva ragione.

Artista senza aggettivi, de Palma, e non solo per il valore della sua opera, ma per il senso materiale di una parola, che dovrebbe incorporare tutte le specificazioni capaci di colorarla. Artista. Punto.

A Teo le coloriture posticce non potevano piacere, perché il suo sguardo sconfinava oltre le muraglie dell'orto paesano, arrivava a Parigi, nel Nord Europa, in America, in Giappone, per tornare a casa con il mondo in tasca. Anche per questo non gli piacevano gli improvvisati, i "ciabattini" (definizione sua), i "figurativi, "concettuali", "informali" o non abbastanza formali, che calcavano il tono sull'aggettivo più che sul sostantivo.

Chiunque abbia visto un acquerello o un libro d’arte di de Palma, comprende quanta precisione e quanta pazienza da orologiaio ci siano nel suo lavoro. La materia di cui sono fatte le sue rose, le foglie autunnali che sembrano morire e riprendono fiato nell’acqua, è una materia che germina di continuo.

Quelle gocce d’acqua, che hanno la consistenza delle perle e delle biglie di vetro.

Teo aveva insegnato nei licei per tanti anni, ma il suo vero mestiere era imparare.

Fare sua una tecnica, appropriarsi degli strumenti "tradizionali” (prediligeva l’acquerello, perché era l’acqua a dargli corpo e colore), immaginarne un'altra, da declinare al plurale, attraverso l'uso materiali inconsueti come la ruggine, di cui aveva una padronanza assoluta.

Ogni tanto lo incontravo per la strada: andava a lavorare nel suo studio in una traversa di Piazza A. Ricordo un appartamento immerso in una luce che cascava dalla vetrata del soffitto, gli arnesi del mestiere, i dischi (quasi duemila. dal rock alla musica classica).

Teo lo conobbi circa vent'anni fa, non ricordo a casa di chi.

Un amico lì presente mi disse che era un artista e io, credendo che Teo fosse un professore (me lo aveva presentato così, come il Professor de Palma), non capivo il senso di una parola, che mi sembrava vaga e imprecisa. Me lo spiegò lui qualche anno dopo.


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