Registro infedele di trame senza sviluppo, ideuzze, incipit, semi-progetti sfociati in un colpo di sonno
La lettera
Un cinquantenne scrive una lettera a una donna per scusarsi di quando, venticinque anni prima – era la festa di maggio: guardavano insieme i fuochi d’artificio – le sfiorò un seno con il pollice. La donna ricorda ogni dettaglio di quel giorno: la festa, i fuochi d’artificio, il dito che le sfiorava il seno, il terrore dei passeri in fuga dagli alberi sul viale, ma non si ricorda di lui.
Poeti
La gara poetica inventata dalla maestra: gli alunni dedicheranno un tema a San Tersite, protettore degli alunni distratti. Il tema dovrà diventare un libro da bruciare sulla terrazza della scuola perché arrivi al santo in una fumata. La gara scatena la rivalità tra i bambini. La prima della classe usa l’immagine del sole che perde i petali, il sole spampanato; il rivale più agguerrito che sbircia con la coda dell'occhio, cerca di superarla usando un'immagine più audace.
Personal essay (fiction?)
Il critico letterario atteso al varco dagli scrittori che aveva stroncato (tutti): sta per pubblicare un romanzo. Gli scrittori si preparano alla vendetta. Il romanzo è scritto in una lingua inventata dal critico. Forse una lingua appartenente a una civiltà remota o extraterrestre, che nessuno, se non lui, può decifrare.
Commemorazione
L'ex soldato, durante una riunione in trattoria con i vecchi commilitoni, rievoca i tempi della giovinezza, il generale ammirato per il suo esempio, l’amico eroico morto di infarto in battaglia, in un corpo a corpo con una vergine di quindici anni. La maledetta non voleva saperne, di ricevere il suo seme.
Bestemmia
Non avevo mai bestemmiato, lo giuro. Sebbene non credessi in nessun dio, per rispetto verso chi ci credeva, non avevo mai bestemmiato. L'ho fatto solo una volta, e non verso Dio, ma verso il Beato Romito di Pratolargo, per cui nel mio paese c'è una venerazione inimmaginabile. Ho bestemmiato ma l'ho fatto in silenzio, nel pensiero, mentre mi pettinavo davanti allo specchio. Niente di veramente offensivo: mi sono detto: La barba del Beato Romito sembra finta. Crine di cavallo? Peli sintetici?
In quel momento il Beato bussa alla mia porta: penso a un segno: il Beato vuole convincermi che Dio esiste. Invece no. Punta gli occhi sui miei testicoli, mima il suono del risucchio e scompare. Da anni soffro di un disturbo, che gli andrologi chiamano "disfunzione erettile".
Vengo da una famiglia di operai. Sono stato marxista per dieci anni, poi ho fatto parte per me stesso. Lo dico per precisare che non sono credente, ma ho sempre rispettato gli uomini di fede. Non sono mai entrato in una chiesa, ma non ho mai bestemmiato. Lo giuro. Per rispetto dei credenti, non ho mai bestemmiato. L'ho fatto, forse, solo una volta, e non verso Dio, ma verso il Beato Romito di Pratolargo, per cui nel mio paese c'è una venerazione inimmaginabile. Di lui dicevano che fosse un guaritore, che aveva fatto tanti miracoli. Insomma un tipo in gamba. Con un solo difetto: era molto suscettibile. Non potevi fargli un appunto che gli andava il sangue agli occhi. Sarà anche per questo, per il mio maledetto orgoglio, che ci sono cascato e ho bestemmiato. Per modo di dire. Comunque l'ho fatto nel pensiero, mentre mi pettinavo davanti allo specchio. Pensando all’immagine che campeggia sulla facciata del santuario, mi sono detto: “La barba del Romito sembra finta. Crine di cavallo? Peli sintetici?”. Solo questo ho detto. Lo giuro.
Una notte faccio un sogno. Il Beato bussa alla mia porta: apro e lo riconosco. Niente da fare: la sua barba continua a sembrarmi finta. Penso a un segno: vuole convertirmi. Macché. Punta gli occhi sul mio ventre, mima il suono del risucchio e scompare. So che si tratta di una suggestione, ma da allora, ogni volta che vado in bagno e mi siedo, se non ho pronunciato la frase “Ma sì, ma sì che è vera”, non ci riesco, non ci riesco proprio a farla.
Sacrificio
Il gladiatore, decide che morirà nell’arena: non vuole uccidere (è la sua filosofia o religione o credenza a vietarglielo). Solo Dio può togliere la vita agli uomini. Durante il combattimento si fa prendere dalla foga e atterra l’avversario. L’imperatore si mette il pollice in bocca: sarà il gladiatore a decidere. "Essere Dio, solo per un istante...", pensa, prima di affondare il gladio (o la daga o la spada) nel petto dell'avversario.
Il perdono
Due ex compagni di scuola si rincontrano dopo trentasette anni. Fanno fatica a riconoscersi, ma si riconoscono. Mangiano insieme un cartoccio di caldarroste e ci bevono sopra una bottiglia di vino novello. Parlano della scuola, delle donne che li hanno fatti soffrire e di tutto ciò di cui gli uomini parlano volentieri. Stanno per salutarsi, quando uno dei due dà un pugno all'altro, rompendogli il naso. Lo guarda sanguinare sul pavimento e gli ricorda il giorno in cui era stato l'altro a colpirlo a tradimento, durante una festa da ballo a casa di T., la bambina più bella della classe. I suoi splendidi occhi, due chicchi d'uva un po' cisposi, avevano riso di lui, ferito a morte.
La sindrome del disegno stilizzato
Già da bambini sospettavamo che non avesse talento: noi a fare stanghe e lui a disegnare, a provarci. Hai presente l'omino fatto di stanghe con un cerchio al posto della testa? Facevamo tutti così. Lui invece cercava di dare una dimensione più profonda alle figure: gonfiava la stanga del tronco, e ci metteva pure un cuore dentro, pompava i bicipiti sulle stanghe delle braccia, tirava la pasta delle mani e poi le rifiniva, gli aggiungeva le unghie. Disegnava davvero. Questo a scuola, quando disegnare era un lavoro, lo sprofondo in una miniera. A casa, dove il disegno era una specie di libertà, per disegnare un uomo, tracciava linee e cerchi come noi.
Lo scrittore nascosto
(Titolo iniziale: Lo scrittore fantasma, poi modificato per via dei precedenti: Roth ecc.)
Sarà stato il suo carisma o l'effetto che ci facevano i suoi occhi. Quando li strizzava, quando li abbassava per guardarsi le punte delle dita, quando fingeva di fissarci nelle pupille e in realtà ci guardava le orecchie (mentre gli parlavamo, per dimostrarci che si poteva stare attenti anche guardando altrove). Ecco perché gli credevamo, quando millantava di avere scritto lui i libri vendutissimi di autori famosi, che lo pagavano per scriverli al posto loro. A ogni nuova uscita di un libro, che immancabilmente avrebbe venduto milioni di copie, gli chiedevamo se lo avesse scritto lui. E lui, ogni volta, rispondeva guardandoci in quel suo modo rassegnato, per dirci: "Purtroppo sì".
Poema della separazione
- prima e ultima strofa -
Separarsi dalle persone
separarsi dalle cose
è lo stesso per te.
Quando le persone
prendono la forma delle cose,
se anche tuona in un maglione
o nevica in una scarpa
scompare ogni miracolo
ed ecco l'indifferenza
del corpo che insegue l'ombra -
senti solo lo scrocchio
del sale sotto le scarpe.
Chaperon
La madre e il figlio conoscono il silenzio della strada che non ricordano. La casa è lontana, e più lontana la musica. La madre vestita da ragazza cammina davanti al figlio, Orfeo grigio ammutolito con una canzone accartocciata in tasca (il refrain continua a sfuggirgli). Lei ha fresco sotto la vestaglia, lui suda nel cappotto, al riparo nella nebbia del fiato. Forse la madre saprà trovare da sola la strada del ritorno e le parole della canzone, che lui non conosce e lei non ricorda.
Una piazza
Il sindaco si era espresso, ma non voleva far pesare troppo la sua opinione. Aveva pensato di indire un referendum, ma non era sicuro che fosse la soluzione migliore. Un piccolo sondaggio, così, a titolo personale, lo aveva fatto; un referendum però gli sembrava un rischio da non correre. La giunta pareva compatta. Anche il consiglio comunale non aveva dubbi. Le opinioni contrarie poche: tre, forse quattro. Si trattava di decidere a chi intitolare la piazza del paese. Milleottocentotrentuno abitanti e pochissimi personaggi di rilievo. Una sola piazza per un solo compaesano illustre. L'alternativa era tra due nomi Un terzo, un centravanti, che aveva giocato al massimo in serie D, era stato scartato subito. Una glorietta locale. Gli altri due invece erano abbastanza noti oltre confine: il primo, il poeta Ulisse Deiudicibus, autore de Il singulto e i precordi, poema in versi alessandrini di una retorica difficilmente digeribile anche ai suoi tempi, non tanto lontani. Un poeta ottocentesco con un secolo di ritardo. Il secondo, Raffaele Ucci, un uomo di grande talento, noto per aver sterminato due famiglie. Tredici persone massacrate a colpi d'ascia. Si diceva che i suoi omicidi fossero molti di più. Forse cinquantuno, ma nessuno poteva dirlo con certezza. A voler essere precisi, Deiudicibus non era proprio un paesano, essendo nato in un paese vicino. Ammesso che quindici chilometri di distanza siano pochi. Aveva vissuto a V. per dieci anni e poi si era trasferito in Francia, dove la sua opera aveva avuto una discreta eco (allora accadeva che i nostri scrittori fossero apprezzati in Francia, qualsiasi cosa scrivessero). Ucci invece era un paesano vero, nato, vissuto e morto a V. In realtà era morto in prigione, ma per caso: stava per ottenere i "benefici di legge". Se avesse scontato il resto della pena a V., tanti compaesani ne sarebbero stati felici. E poi la sua autobiografia non era poca cosa. Un documento di notevole limpidezza narrativa, ricco di dettagli, impreciso solo sul numero degli omicidi.
Confessione
"Va' a riposarti" mi dicevi. Perché mi volevi bene, e avevi paura che mi stancassi. E io mi riposavo. E lo faccio ancora. Non faccio altro, da quando me lo hai detto la prima volta. Sono più di trent'anni che mi riposo. Non per stanchezza, ma per obbedirti.
Animali
Il criterio della selezione era solo estetico: i cani potevano essere brutti; i gatti no, dovevano essere bellissimi. L'incredibile camminamento (opera di raffinata ingegneria) che mio padre aveva costruito per i gatti meravigliosi del garage. I piccioni d'allevamento si mangiavano, quelli che incontravi per strada potevi portarteli a casa, specie se avevano un difetto fisico: un'ala spezzata, una zampina offesa. Il piccione femmina chiamato Nico. I pesci negli acquari non dovevano essere comuni pesci rossi; giusto gli orifiamma, che però in un acquario sarebbero vissuti poco.
Crisi mistica
Quella della Mater mediterranea. La madre che ti nasconde (o addolcisce) la verità, per poi dirtela in modo brutale, anche solo per sfotterti.
Poyais
La terra promessa dal suo cacicco Gregor MacGregor, che se l'era inventata per truffare i fessi. Molti dei quali morirono annegati nel tentativo di raggiungerla.
Gesti
Quelli dei miei genitori: mio padre con la testa poggiata sui pugni mentre guardava la tv. Mi sembrava ridicolo. Il suo stringere le labbra davanti a una situazione fastidiosa. Io che ripeto i suoi gesti.
Il monologo
Che scrissi per l'amico che me lo aveva chiesto. Il mio affidare al monologo tutte le mie speranze di gloria. Il mio insistere perché lui si impegnasse a trovare un teatro per rappresentarlo. Il mio disappunto quando seppi che si era trovato un lavoro. Quel monologo era orrendo.
Ricettario
Mia moglie, la più buona e generosa delle donne, da quando ho perso (volutamente) il lavoro, mi costringe a ricopiare le sue ricette. Vuole farne un libro che, dice, ci renderà ricchi. Ho cercato di spiegarle che si tratta di ricette facilmente reperibili online, banalissime, ma lei insiste: digrigna i denti, mi rinfaccia torti vecchi dieci, quindici anni, di cui sembrava essersi dimenticata. Mi insulta. Ricopio le ricette.
Un liquore
Me lo aveva regalato un amico: lo aveva fatto sua suocera. Quando gli dissi che mi ero scolato la bottiglia in mezz'ora, disse che non me ne avrebbe dato più. Ho smesso di bere, non guardo più il calcio in tv e penso al mio amico, a quell'atto ingiusto che mise fine alla nostra amicizia.
Tradimento
Nerio mi aveva puntato dal fondo dell'aula, sgranando gli occhi verdi che facevano impazzire mia sorella. Mi era venuto incontro dall'ultimo banco per dirmelo: domenica saremmo usciti con le ragazze. Avevano nove anni come noi, le ragazze. Per sé Nerio aveva scelto R., che tutti consideravamo la più bella. Io mi sarei dovuto accontentare di T., che non era brutta ma aveva sempre una macchia gialla sulle mutande (gliela vedevo quando facevamo ginnastica e lei si chinava per fare i piegamenti sulle ginocchia). Non ricordavo dove si formasse la macchia, se all'altezza dell'ano o della fessa. "Della fessa" diceva Nerio. Ma io ero convinto che fosse l'ano.
Mi faccio bello, con l'aiuto di mia madre, che mi cosparge di borotalco, sbattendomi allegramente il grasso dei fianchi.
"Figlio mio, hai la cellulite".
Com'è possibile che un maschio abbia la cellulite?
Nerio non arriva. Lo aspetto per ore, comincio a sudare; il mio odore si condensa in un vapore di borotalco e aceto. Nerio e le ragazze non arrivano. Mi intristisco. Il giorno dopo incontro Nerio a scuola. Lo affronto, lo chiamo per nome. Ammette di essersi dimenticato dell'appuntamento. Con me, non con le ragazze. Con loro ci era uscito. Da solo. Per consolarmi, mi conferma che la macchia sulle mutande di T. era all'altezza dell'ano.
La partita
Odiavo le partite. Giocarle, dico. Finché si trattava di palleggiare e passarsi il pallone (li chiamavamo "passetti") ero felice: sembravo un piccolo Zico panciuto. Ma poi, cazzo, capitava che si giocasse la partita. "Facciamo una partitella?" gridava Mino, che giocava nella squadra del paese ed era considerato una progetto di campione. Quando si doveva giocare io tremavo. Nel palleggiare ero un mago: Michele il Cinese un pomeriggio di luglio aveva contato i miei palleggi in cortile: milleduecentottantaré. Li avevo fatti tutti col piede destro. Ma quando c'era da giocare davvero me la facevo addosso e "squacciavo". Facevo schifo. Un giorno il diacono della parrocchia organizzò un torneo di calcio. Diceva che il calcio era un pretesto: serviva a fare amicizia, conoscere i propri limiti, accettare le sconfitte ecc. In realtà credo che la chiesa fosse per lui un pretesto per organizzare tornei di calcio.
Marginalia di un quasi omonimo
Non sono le opinioni contrarie, né i punti di vista eterodossi o "eretici" a infastidirmi: è l'impermeabilità alle argomentazioni altrui, il restare conficcati nella propria idea a dispetto di ogni logica che non sia la propria. "Inutile che parli: non cambierò mai idea". E' la frase che si sente più spesso: un badge appuntato sulla giacca, un titolo che coincide con lo svolgimento, come un frammento di specchio che acceca. Ridursi al silenzio ed esserne contenti.
Tobias Canelli (da L'accecamento del pipistrello)
Il disturbatore
Che fosse un reading, la presentazione di un libro o una conferenza, lui era lì in agguato. Guardava l'autore masticando amaro e poi sputava tutto il veleno che aveva in corpo. A una poetessa che citava Montale disse: "Io Montale l'ho letto, puttana!".
Lotta libera (Songe)
Un uomo anziano, le spalle larghe da ex atleta, mi guarda con aria di sfida, mi dice: "Sei bello grosso". "Vuoi fare a botte?" gli rispondo. Annuisce. Somiglia a Nicanor Parra. Lo picchio, lo butto a terra, ma non sembra che i miei colpi gli facciano male: si diverte.
Paolo C. (Songe)
Il grande musicista ha perso sua figlia (incidente? malattia?). Gentilissimo, mi accoglie in casa sua; mi offre focaccia e mortadella; mi presenta sua moglie, mi fa visitare l'appartamento, che in realtà è una villa di campagna. Mi parla malissimo di Woody Allen, "uno a cui le cose sono andate bene". Tempo prima, Woody Allen mi aveva parlato malissimo del musicista, del suo jazz canzonettaro di risulta.
Songes
Lo scrittore senza idee che ha bisogno di addormentarsi per farsele venire.
Lavoratori
La convocazione per il lavoro. Uno dei candidati parla al telefono a voce alta: tra una settimana esporranno le sue opere in Germania. Vuole che tutti lo sappiano, che lui è un artista, non un bidello.
Presentazione 1
La presentazione di un libro. Una raccolta di poesie. Il titolo evocava dolcezze dell’anima, voci sussurranti ne o dall’interiorità di un’anima innamorata dell’universo, forse non corrisposta. L’autore è un’autrice, un’insegnante di francese in congedo da tre settimane. E’ il suo primo libro, ma sembra contenerli tutti, tanto è grosso, grasso, quel volume di trecentonovantotto pagine. Ci stanno tutte le poesie che la professoressa Armida De Iudicibus ha scritto dai quindici ai sessantasette anni. Tutte: non ne ha mai cancellata nessuna. “Le mie poesie non le correggo mai: zampillano dall’estasi come un’acqua limpidissima. L’acqua, chi la tocca può solo sporcarla”.
L'amico poeta che ti incoraggia a pubblicare le tue brutte poesie, ti smonta dopo che le hai pubblicate.
Presentazione 2
Vittorio Feltri prende in giro Cosimo, lo chiama "terrone" in un modo che sembra e non sembra scherzoso. Feltri presenta un libro (suo?); la libreria è vuota, ha una grande vetrata che dà sulla strada. Cosimo, io e altri amici passiamo davanti alla libreria, notiamo che Feltri è solo. Cosimo ci chiede di entrare per riempirla. Feltri sorride riconoscente. L'ho sognato la notte del 3 maggio 2022. La mattina leggo delle dimissioni di Feltri dal consiglio comunale di Milano: è malato. Anche Cosimo è malato.
Il copista
... degli scritti altrui. Scrivere un libro ossia riscriverlo uguale, identico parola per parola.
Pace
Lo scrittore viaggiante è in un luogo di guerra. Dettaglio di lui in camera da letto, sdraiato guarda la prostituta che gli dorme accanto. Lei si sveglia, gli chiede di portarla con sé in Italia. Lui non risponde, continua a guardarla. L'Italia? Ma io sono di San Marino...
A margine
Non credo di avere mai desiderato altro. Volevo essere uno scrittore. Non fare lo scrittore, o meglio, non farlo a dispetto del dato imprescindibile di una condizione, prima biologica e poi esistenziale, che mi distinguesse dai non-scrittori. Essere uno scrittore o non esserlo, purché qualcuno credesse all'inganno.
Ponte Bria
L'uomo che prende il fresco all'ombra di un castagno. Ha forse settant'anni, mi sconsiglia di camminare sulle foglie marcite dal maltempo: potrei sprofondare. Seguo il sentiero suggeritomi dal vecchio: sprofondo in un baratro, che mi ingoia, mi digerisce, mi defeca nel cuore buio della terra. Lì troverò tutti i miei fratelli sconosciuti, sparsi per il mondo dalla Grande Nerchia del disonore: gli artisti sedicenti, che si vergognano del loro vero lavoro (bidello, sguattero, cameriere). E poi gli scrittori-clienti delle case editrici (la gara a chi ha pagato meno, a chi ha dato di più il culo o inculcato di più il nervo in cambio di una pubblicazione).
Fiamma
Lei sposata e separata. La tristezza di chi sa che si innamorerà ancora. Di un altro.
Moralismi di uno scrittore nato e morto in rete
Non parlo di questioni politiche o di "attualità" dal trabiccolo di Zuckerberg, per paura, perché non credo che sia uno spazio utile per il confronto: resta uno sfiatatoio dell'ego, in cui si ascolta solo la propria voce. Mi ha intenerito il candore con cui Alessandro Barbero ha confessato la sua paura della canea insultante dei social. Nel caso specifico, Barbero aveva manifestato un pensiero legittimo sul fu "passi verde". Pensiero frainteso e marchiato d'infamia in modo infame. Insomma, così non mi diverto, neanche a essere serio. Molto meglio una scazzottata che un insulto anonimo. A me poi, che sono così suscettibile, così poco "complesso", la complessità ridotta a una frase fatta dà più fastidio di un vaffa. Ho paura di tutto, ma non del silenzio.
Confronti
Con lo storico relativista, per cui democrazia e dittatura sono intercambiabili, perché Churchill è il genocida del Bengala e i francesi ne hanno fatte di tutti i colori agli algerini. Io che, messo all'angolo, gli do del "fascista".
Io che parlo di poesia in pubblico. Un bambino di sette, forse otto anni mi chiede perché mi tinga i capelli. Gli dico "E tu perché sei così stronzo?".
Un monologo
Arriva Nerio. Nerio che mi aveva salvato la vita più volte, che aveva portato le mie borse, che mi prestò il danaro che non avevo avuto il coraggio di chiedergli. Per un po' di tempo abbiamo amato la stessa ragazza, abbiamo litigato per lei ma siamo rimasti amici. Forse perché nessuno di noi due l'aveva nemmeno baciata: forse le cose sarebbero andate diversamente, se uno di noi l'avesse baciata. Nerio: attore, atleta, spadaccino formidabile (avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi). Mi chiede di scrivere un monologo per lui. Un giorno lo rappresenteremo. Non si sa dove.
Dimentico le sue parole dette tra nuvole di fumo e alcol. Non lo vedo per anni, durante i quali Nerio è sales manager di un'azienda norvegese, viaggiatore, reporter, mediatore culturale in Niger e in Mozambico (queste informazioni non le ho avute da lui. che si è sempre limitato a dire che è stato in giro).
Un giorno Nerio mi telefona. Mi dice che tra dieci giorni rappresenteremo il monologo, che - elemento trascurabile - non ho ancora scritto. Decidiamo di coinvolgere D. nell'operazione: reciterà con Nerio in un'appendice dialogata del monologo, per dargli un po' di colore e di enfasi mistificatoria. Diciamo meglio: per rendere il monologo meno ammorbante. Scrivo il testo in una settimana. Una settimana infernale: sto male a causa di una gastroenterite, ma - lo giuro - non lo dico per giustificarmi. Sì, lo dico per giustificarmi. La rappresentazione è un tonfo terrificante. A un certo punto della rappresentazione D. abbandona il palco per la vergogna, lasciando a noi la gloria della disfatta, le risate di scherno (c'è qualcosa di peggio in uno spettacolo che dovrebbe, vorrebbe essere divertente?), gli sguardi di commiserazione che gli amici rivolgevano a me, l'autore, seduto in mezzo a loro in platea. Un disastro totale e non per colpa degli attori. Mi giustifico con la storia della gastroenterite. Nerio sa che il testo sarebbe stato brutto anche se lo avessi scritto da sano, ma mi perdona lo stesso. Sa anche che se mi avesse chiesto di fare una rapina, avrei accettato come ho accettato di scrivere quell'insulso monologo. Forse avrei accettato anche di gettarmi nelle rapide del fiume Gualamiral con una canoa di polistirolo. Perché non mi ha chiesto di assaltare il Palazzo d'Inverno? Saremmo morti sotto il fuoco delle guardie, ma nessuno avrebbe riso di noi. O forse sì?
Non razze, e nemmeno etnie
Non sono cinese. Lo dico a tutti che la Cina non so neanche dove sia. Eppure mi chiamano "Il Cinese". "Ok" mi dicono "Non sei cinese, ma hai origini cinesi". "No!" gli dico gridando più che posso. "Possibile, con quegli occhi da cinese? Li avessi solo tu gli occhi da cinese, ma i tuoi? sembrano cinesi anche loro".
Ansia
Milleduecentossessantatré tocchi: lo ho contati personalmente. Quasi tutti col piede destro - mettiamo il 70 per cento, forse l'80 -. La palla non cadeva mai a terra.
Poesie, amore
Scrivevo poesie e gliele spedivo. Una alla settimana. Nell'ultima le chiedevo un appuntamento. Mi rispose che accettava. Mi presentai mezz'ora prima per godermi l'attesa. Era già lì. Non lei, suo padre. Mi chiese cosa volessi da sua figlia. Risposi imbarazzato non ricordo cosa. Lui continuò dicendo che sua figlia avrebbe sposato il cugino; non perché le fosse stato imposto di sposarlo ma perché lo amava. Che smettessi di importunarla. Da vigliacco quale ero e sono, smisi. Dieci giorni dopo la vidi passeggiare mano nella mano con un tipo alto e biondo. Non era suo cugino.
Fama
Sperava di diventare famoso, "per poter mandare a fanculo tutti quelli che pretendono che io dia un contributo alla società". Cioè quelli che gli chiedevano di trovarsi un lavoro. Sperava di diventare famoso scrivendo poesie. "Un romanzo mai. Sarebbe come lavorare".
Mail di buona Pasqua
Io un agnello posso risparmiarlo
se non vuole truccarsi da maiale;
è al mio sguardo da porco inanimato
che non risparmierò le reprimende
di chi vede nel vetro ben riflesso
il volto di chi meno gli vuol bene
(magari non un porco, certo un fesso).
Ricambio affettuoso la penitenza
con l'abbraccio del retore al poeta
in attesa di gioie più tremende
della prossima domenica cristiana
(non credo in Dio, credo nella credenza)
e che una volta almeno il lunedì
non sia il più amaro della settimana.
Per conto terzi
Ma che giornalismo culturale e giornalismo culturale... Dovevo scrivere della vita vera; se no col cazzo mi avrebbero pagato. Questo mi diceva e aveva ragione. Per il colloquio col caporedattore, mandai avanti lei. Io ero così timido e insicuro che non me la sentivo. Fu assunta al posto mio. Il problema erano gli articoli, che avrei dovuto scrivere io. Lei sarebbe andata in giro a trovare notizie, che poi mi avrebbe raccontato perché ne tirassi fuori dei pezzi.
Ancora un po' di innocenza
Ancora un po' di innocenza
ti dicono, è il destino
invece è un passerotto zoppo
brasiliano che ti smonta
le ossa con la finta.
La ragazza bionda che hai visto
andare alla deriva sopra i sandali
sul viale del teatro la domenica
la distinguevi dalla sua gemella
non dal neo timbrato sulla guancia
dalla mano tabaccosa del padre
ma dalla piega asprigna del sorriso
che ci hai visto un richiamo nella nebbia.
Le avevi raccontato di tuo padre
che era francese ma di sangue misto
e tua madre che era muta di cristallo
che il marito il suo vocabolario
lo conservava per gli sposalizi
- Viva gli sposi hip hip hurrà -
mentre lei parlava coi poeti
per chiedergli pietà e dimenticanza
per il figlio nato di cinque chili.
La ragazza ti ha riconosciuto
per averti promesso mezzo bacio.
Poi ha attaccato il telefono. Il silenzio
che hai scambiato con la gioia balorda
della prosa è tutto ciò che resta
dei rimorsi ingoiati con il miele.
SCAGLIE DI INSIPIENZA di Facundo Filiano
Il suicidio è un bene troppo prezioso per sprecarlo in un gesto solo.
Il gentiluomo gode e tace; io, per ora, mi accontento di tacere.
Sono
un tipo precoce: a ventidue anni ero già un fallito.
Accontentarsi in amore? Basta fare tutto da soli.
Come Don Giovanni, cerco il fallimento, con la differenza che sono molto più bravo di lui a ottenerlo.
Finché c’è speranza, c’è vita.
Errata corrige.
La speranza è una puttana: va con tutti e decide il prezzo.
Chi confonde "ci conviene" con "è giusto", ha un'idea precisa di ciò che gli conviene e nessuna di ciò che è giusto.
L’amico è la persona che ti toglie di mano la pistola, quando stai per farti saltare le cervella, e che te la mette in mano, quando non ci hai ancora pensato.
Sto buttando via la mia vita, ma non posso fermarmi: non mi piace lasciare le cose a metà.
Non credo in Dio, letteralmente: non mi fido di lui.
Tutti quelli che parlano di dittatura, quando vedono leso il proprio "particolare", sono gli stessi che la dittatura sono disposti ad applaudirla, quando gli dà ragione.
Chi spera di sostituire la democrazia con la dittatura, perché ritiene di non vivere in una democrazia compiuta, aspira alla dittatura a prescindere.
Non era mai sporcato da un dubbio: ogni volta che sbagliava una previsione, a sbagliare era stata la realtà.
La democrazia che conculca i diritti di chi la contesta, rinnega sé stessa.
La dittatura si limita ad attuare il programma.
La democrazia muore nel dormiveglia degli indolenti prima che nei sogni dei tiranni.
Sono disposto ad amare il mio prossimo come me stesso, purché mi stia il più lontano possibile.
Tutti quelli che auspicano la conversione altrui, dovrebbero interrogarsi sul senso della propria.
Conflitto d’interessi? Mi sembra che i suoi interessi vadano perfettamente d’accordo.
La vita sessuale di una persona mi interessa solo quando voglio farne parte.
Non temo tanto il rifiuto di una donna, quanto la fatica che devo fare per averlo.
Le persone ordinarie esistono, ma per fortuna sono poche.
Sono nato alle dieci del mattino. Era estate: me ne accorsi subito. Per fortuna indossavo roba leggera. Lì dov’ero stato, non stavo mica male: mangiavo bene (sebbene non potessi scegliere il menu); bevevo il giusto; sapevo sempre cosa fare; la tv non era così brutta, e avevo una donna che mi amava sopra ogni cosa. Ventisei anni prima c’era stata la bomba di Hiroshima; cinquantaquattro anni prima era nato un attore americano, con gli occhi piccoli, due fessure luminose, e le spalle larghe, americane anch’esse. Poi nacqui. Senza sentire dolore, stranamente. Dico stranamente, perché mi aspettavo altro: un rombo assordante, un massacro di luce, un’edizione straordinaria del tg, un congresso del PSI. Ma non accadde niente che non fosse nascere. E un poco ci rimasi male, perché i colpi di teatro mi sono sempre piaciuti. Comunque, mi buttai nella mischia; esitando un po’. Mi buttai e mi fermai in aria, nello slancio. Non sono mai atterrato.
Le parole d'amore tienitele per i diari: non ci conquisterai il cuore di nessuno. Con chi ti vuole, sono superflue; con chi non ti vuole, inutili.
Amo la mia ignoranza, perché non ha nulla da insegnarmi.
(Su Monicelli, morto il 29 novembre 2010 a 95 anni) Sinceramente, non credo che stia riposando in pace: è morto incazzatissimo. La sua morte è stata il vaffa al mondo di un moralista apocalittico e gonfio di (giusto) risentimento. Non ha voluto un funerale e non vorrebbe che lo si celebrasse. E noi, per dispetto, lo facciamo: così impara a morire a vuoto. Il suo colpo a effetto è coerente con le cose che diceva (alcune memorabili, altre da repertorio del vecchio sentenzioso e invelenito); eppure non me lo aspettavo. Non amava le banalità dei benpensanti, né il sinistrismo in grisaglia, né l’arte che bacchetta le masse e gli insegna cosa pensare. Glielo riconosco, non sparava a salve. Eppure, una trovata così ovvia da lui mi suona sghemba, fuori luogo come una battutaccia.
– Perché non cerchi un lavoro serio?
– Perché rischierei di trovarlo.
Chi ha un’opinione su tutto, ha soprattutto una grande opinione di sé.
Cosa mi aspettavo
Dalla nostra relazione. Me lo chiese un giorno. Quello che ti chiede il reclutatore di un'azienda durante un colloquio di lavoro. Battute su suo padre non potevo più farne.
Lo avevo visto passeggiare sul corso.
"Che lavoro fa?" La domanda sembrava ingenua.
"Niente: è in pensione".
"Giovane...".
"Giovane? Ma se ha quasi quarant'anni...".
Dialogo tra una madre e uno studente (molto) fuori corso
“Hai visto? Pure Franco Gravucci (il mostro di Pratolargo, N.d.R) si è laureato!
E tu? Vuoi fare
contenta anche tu la tua mamma?”.
“Mamma, ti ricordo che Gravucci sua madre l'ha uccisa...”.
“Vuoi dire che mi vuoi troppo bene per prenderti una laurea di merda?”.
(Anche gli assassini ti mettono in cattiva luce.)
Promemoria
Sei mesi fa, e anche tre mesi fa, e una settimana fa, e pochi giorni fa, ho sparso la voce, ho sussurrato alle orecchie attente e distratte: il 21 marzo si festeggia la poesia. Mi raccomando. Non scordatevene. L'ho detto ai professori che non leggono poesie e a quelli che le leggono. E anche a quelli che le scrivono. L'ho detto a tutti, ai giovani, ai vecchi, agli illustratori, di solito interessati alle questioni estetiche: mi raccomando, nè, non ve ne scordate, che il 21 è
la giornata mondiale della poesia.
Poi un giorno capita che sia domenica: mi sveglio con la vescica piena. La svuoto. Mangio un cannolo fatto a Legnano. Le dico banalità al telefono, e naturalmente dimentico la poesia. La poesia che va per le strade.
Un poeta
Un intellettuale salentino
vestito da ussaro in congedo
non so se per farmi un complimento
o per inchiodarmi mani e piedi
al mio peccato poco originale
legge una mia poesia a bassa voce -
che non la ascolti nemmeno un bacillo -
- parlava dei nidi dei passeri scovati
dalle ciglia di mio padre sotto
un cornicione - Non c'è un pensiero
neanche un'idea che brilli di una vita
appesa a un filo d'indecenza
niente che sorprenda, che ammaestri
il ciaccià del conformismo, il fiato
di un inciampo sulla corda tesa
tra bordo e riva, promessa e smacco.
Così mi dice e mi sorride stanco.
E io che non ho la forza di arrendermi
mi profondo in scuse: quel libro
così minimo e rachitico io non
avrei voluto voluto mica scriverlo -
la colpa non è mia e non è mio
il resto, qualcuno non ricordo chi
mi ha incoraggiato per deridermi
col rancore che aspetta di appassire
come un geranio addomesticato
all'ombra di un vizio, sempre lo stesso
Da qui
E di quel poco ancora d'innocenza
resiste la paura di trovarti
ragazza, è ancora il frutto che si spacca
sei tu che avevi ancora quindici anni:
io non sarei stato abbastanza nudo
per darti il sangue sciolto dell'attesa
in cenere la notte senza sonno
dov'eri tu con il tuo amore di sebo
febbre del corpo intatto e offeso
Nerio aveva portato le mie borse per tre chilometri il giorno in cui rischiavo di perdere il treno. Quasi mi salvò la vita, quando mi prestò il denaro che non avevo avuto il coraggio di chiedergli. Per qualche mese abbiamo amato la stessa ragazza, abbiamo litigato ma siamo rimasti amici. Nerio: attore, atleta, spadaccino formidabile (avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi). Ci eravamo conosciuti in teatro. Facevamo parte di una compagnia di filodrammatici.
Mettevamo in scena commedie napoletane: Scarpetta, Eduardo, Viviani. A me davano sempre parti in lingua, perché col napoletano ero scarso. Mi davano ruoli secondari: il nobile azzimato, il cicisbeo, l’avvocato maneggione. Nerio invece era bravo in tutti i ruoli. Un giorno litigai con uno dei fondatori della compagnia, titolare indiscusso del ruolo comico principale. Mi disse che ero inadatto al repertorio napoletano. Con la mia dizione da speaker della Rinascente ero perfetto per Pirandello e Molière.
Non avrei considerato offensive le sue parole, se non avesse accompagnato l'aggettivo "raffinati" col gesto di Eleonora Duse-Desdemona che chiede pietà a Otello, la mano poggiata sulla fronte.
Non me la presi troppo. Cercai di strangolarlo. Nerio intervenne per separarci.
Gli spiegai come erano andate le cose. Nerio stese il comico con un pugno.
Ci perdemmo di vista. Ci rincontrammo due anni dopo.
Andammo a bere in un bar. Tre bottiglie di un vinaccio portoghese e un paio di un altro, locale, che faceva ancora più schifo.
Nerio voleva ricominciare col teatro. Ma stavolta per fare sul serio. Cioè voleva far ridere, ma non nel solito modo. In quale modo non sapeva dirlo, ma doveva esserci un modo diverso dagli altri.
Detestava il dilettantismo. Ai tempi della filodrammatica, si vedeva che era l’unico di noi ad avere un po’ di talento.
Mi chiese di scrivere un testo per lui. Un monologo, magari.
“Il teatro è pieno di monologhi e di monologhisti" gli dico.
"Sono sicuro che tu riuscirai a darmi qualcosa di originale” mi risponde.
Un giorno l’avremmo rappresentato in un vero teatro, per degli spettatori paganti.
Dimentico le sue parole, dette tra nuvole di fumo e alcol.
Non lo vedo per altri sette anni, durante i quali Nerio è sales manager di un'azienda norvegese, coltivatore di zafferano, fotoreporter, mediatore culturale in Niger e in Mozambico.
(Queste informazioni non le ho avute da lui, che si limitava a dire di essere stato in giro.)
Un giorno Nerio mi telefona. Mi dice che tra dieci giorni metteremo in scena il monologo, che - dettaglio trascurabile - non ho ancora scritto.
“Nema problema. Hai una settimana di tempo. Scrivi qualcosa di divertente; mettici dentro la vita, il dolore, la tua capacità di sorridere sull’orlo dello sprofondo”.
Boh, ma ci avrei provato.
Coinvolgiamo Cesare: reciterà con Nerio in un'appendice dialogata del monologo, per dargli un po' di colore e di enfasi mistificatoria. Cesare non sembra entusiasta. Nerio gli racconta la storia di Gilberto Govi e degli altri grandi attori diventati professionisti da dilettanti che erano.
“Odio il dilettantismo” ribadisce Nerio.
Cesare non sembra molto più convinto di prima, ma accetta.
Scrivo il testo in sette giorni. Infernali: sto male a causa di una gastroenterite che mi fa perdere cinque chili.
Non lo dico per giustificarmi. Sì, lo dico per giustificarmi.
Restano tre giorni per le prove. Nerio impara la parte in un amen. Cesare ha qualche difficoltà in più: lavora in officina fino a tardi, di tempo per studiare ne ha poco.
La prova finale non è una porcheria totale. Io però ho qualche dubbio sul testo. Non mi sembra divertente; il dolore non manca, ma è inevitabile che il mio pensiero vada agli spasmi intestinali che ho avuto mentre lo scrivevo. Che fosse tutto lì il dolore che lo abitava?
“Battuta facile” mi dice Nerio. Mi rassicura.
“Il testo è buono. Ottimo”.
Cerco lo sguardo di Cesare, che resta in silenzio. Spero che sia un buon segno: Cesare non manca di dire la sua, quando gliela si chiede, e anche quando non gliela si chiede.
(Ho scoperto dopo che quel giorno Cesare non aveva la forza di gridare a causa di una laringite.)
Nerio ha affittato un locale vicino allo sbocco della circonvallazione. Era stato un cinema, poi un jazz club, poi un locale notturno. Il proprietario gli aveva fatto un buon prezzo.
Una cosa mi fa stare tranquillo: ci porteremo il pubblico da casa. Venti persone, minimo.
Nerio entra in scena. Sarebbe nudo, se non fosse per il pannolone che gli copre il sedere e il ciondolame.
Inizia a parlare: in quel monologo sdrucito scorre una specie di malinconia che non può muovere il riso ma che dà alle parole il tono di una lamentazione dignitosa sulla humana condicio (mi scuso per l’espressione: non voglio tirarmela con la cultura).
Il discorso sta in piedi, fino a quando arriva la prima battuta che vorrebbe essere divertente:
“Sono un tipo precoce: ho solo ventisei anni e sono già un fallito”.
Scoppia una risata sguaiatissima da un tavolo in fondo alla sala.
Un tizio, forse ubriaco (che differenza fa?) ride per finta. Ci prende per il culo. Nerio lo ignora.
Entra in scena Cesare. Altra risata finta. Nerio resta impassibile. Cesare arrossisce. Ha recitato per quindici anni in una compagnia del ricreatorio salesiano.
"Non possono trattarmi così!".
Nerio gli fa l’occhiolino per rassicurarlo. Cesare sbotta:
“Fallo a tua sorella, l’occhiolino”.
Cesare si rifiuta di dire la sua battuta (anche se il mal di gola gli è passato) e abbandona il palco, lasciando a noi la gloria della disfatta, gli sguardi di commiserazione che gli amici rivolgono a me, l'autore, seduto in mezzo a loro in platea.
Il pubblico degli amici ghiacciato nella fissità di uno sguardo di formalina. Sardonico, citrico, perplesso, assente, semicomatoso.
Andrea, seduto accanto a me, mi azzanna col sorriso da nutria lomellina:
“Ma davvero l’hai scritta tu, ‘sta cosa?”.
Studia odontoiatria. Gli auguro di diventare l’unico dentista povero del pianeta, a quel bastardo.
Nerio resta in scena fino alla fine. L’ubriaco continua a sfottere, alternando risate e colpi di tosse. Nerio scende dal palco e affronta il simpaticone: lo afferra per i capelli, lo trascina fuori dal teatro. Torna dopo dieci minuti: ha la camicia sporca di sangue. Sorride.
“Gli ho restituito i soldi del biglietto”. Si è divertito molto.
Ripeto la storia della gastroenterite.
Nerio mi sorride con una tenerezza, che direi paterna, se non avesse sette anni meno di me.
Sa che, se mi avesse chiesto di fare una rapina, avrei accettato come avevo accettato di scrivere quell'insulso monologo. Forse avrei accettato anche di gettarmi nelle rapide di un fiume con una canoa di polistirolo. Perché non avevamo assaltato il Palazzo d'Inverno? Saremmo morti sotto il fuoco delle guardie, ma nessuno avrebbe riso di noi.
“Non hanno riso di me” mi dice Nerio, abbracciandomi.
Facundo Filiano, L'accecamento del pipistrello
Nuseirat
Tolleriamo l'intollerabile. I nostri sensi di colpa (parlo soprattutto dell'Europa) giocano un ruolo non secondario in questo orrore, ma la coscienza addormentata si rivoltola nel vuoto che ha contribuito a generare.
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