Il 23 dicembre del 2004 dissi a mia madre che non avrei fatto la cresima.
Lei non la prese bene. Da almeno quindici anni le dicevo che la cresima non l'avrei fatta mai, e poi tutti quei discorsi intorcinati sulla fede che avevo perduto a dieci anni.
"Figlio mio, la cresima devi farla... Non potrai sposarti in chiesa sennò..."
"Mamma, non voglio sposarmi in chiesa."
"E tua moglie? Ti aspetta in chiesa e tu non ci vai, cretino che sei?"
E io a spiegarle che ero un uomo fatto, che avevo trentatré anni, un lavoro, una casa, una coerenza da preservare.
"Il lavoro non ce l'hai, la casa è la mia e anche sul resto avrei da ridire."
Vivevo con i miei e scrivevo per una rivista che non mi pagava, ma a tutti quelli che mi chiedevano cosa facessi, rispondevo:
"Scrivo..."
Non era proprio una balla.
"Figlio mio, fai quello che vuoi, ma almeno a messa ci devi andare."
"No, mamma, non ci vado a messa: ho una dignità, io!"
"Non ti chiedo tanto: vai a messa, fai la comunione e ogni tanto ti confessi, poi fai quello che vuoi."
"Mamma, no!"
"Vacci almeno alle feste comandate..."
"Noneee!"
"I tuoi amici ci vanno... Vedi come sono cresciuti bene? Peppino fa il medico, Vito insegna, Aurelio fa l'ingegnere..."
"Aurelio è in galera..."
"Ma ha la fede: prima o poi esce!"
Quel Natale andai a messa, con Peppino, Vito e altri amici che avevano fatto una bella riuscita. Aurelio non c'era, ma alla messa di Natale del 2006 ci sarebbe stato di sicuro.
Saltare un animale
In attesa che il prete annunciasse il "segno di pace", mettevo la mano destra ad asciugare: la stendevo facendo perno sul polso, perché la palma non aderisse al jeans. Sudavo dalle mani e non volevo fare una brutta figura. Pare che dipenda dal nervo parasimpatico, il fatto di sudare tanto dalle mani. Dopo la messa si andava a giocare a carte a casa di qualcuno. Io non sapevo giocare a carte: ogni volta dovevano spiegarmi le regole del sette e mezzo, che mi sembrava un gioco complicatissimo. Il gioco che mi metteva più ansia però era zompacavallo, che richiedeva una notevole prontezza di riflessi. Allora, chiedevo a un amico di giocare in società: lui avrebbe partecipato tecnicamente alla smazzata e io avrei messo i soldi. Accettavano tutti. Una mia amica di Cerignola, dopo che le avevo chiesto di giocare con me, mi parlò schietta:
"Dimmi una cosa: tu non giochi a carte..."
"No."
"Non balli..."
"No."
"Mi hanno detto che non guidi nemmeno."
"Ehh..."
"Si può sapere cosa cazzo fai?"
"Scrivo" risposi, rosso di vergogna.
La zuppetta, che lo so, è buonissima, col brodo che bagna il pane secco e la carne di un tacchino morto di gioia e la scamorza e la mozzarella e il caciocavallo, non mi piace. Non mi è mai piaciuta. I miei genitori, lucani, ogni tanto la cucinavano per mio cognato e per qualche amico del posto. Mio padre e mia madre facevano a gara a chi la cucinava meglio, sebbene quel piatto foresto (buonissimo, eh!) non piacesse a nessuno dei due. Io questa cosa, che la zuppetta non mi piace, non avrei dovuto dirla, ma per fortuna vivo all'estero e so che nessuno potrà farmi del male. Qui ho conosciuto una ragazza di Trinitapoli e un tipo di Pietramontecorvino che fa il pompiere, con cui della cucina sanseverese non si parla mai. Se capitasse, gli direi che la zuppetta è il mio piatto preferito.
I botti di Capodanno
A Sanz mai accesa neanche una stellina, di quelle mute che fanno solo scintille.
Ma qui, nel mio eremo lappone, faccio un casino che lo sentono anche a Mumbay (che poi era Bombay, non credo a caso). Mi affaccio al balcone e grido questi versi di Iosif Brodskij:
Al
Nord, ammesso che credano in un Dio,
questi
somiglia al capo carceriere
che
spianava le ossa a tutti noi…
Al
Sud, dov’è raro il bianco manto,
credono
in Gesù Cristo in quanto fuggitivo:
nacque
su strame di sabbia nel deserto,
e
morì pure, sembra, sotto il cielo aperto.

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