Considerare i libri degli
oggetti d'uso, non qualcosa che si legge e si butta via (anche
metaforicamente: il leggere in fretta e passare oltre, che pure è legittimo).
Quando mia madre mi vedeva leggere un libro comprato da poco, mi chiedeva, quasi mi pregava di non finirlo subito. Una raccomandazione pratica, e sappiamo
cosa significhi essere pratici per una donna, per una donna del Sud in
particolare: il senso del risparmio che non è mai taccagneria, il mangiare per
riempirsi lo stomaco, ma senza giocare col cibo, il cibo che non si butta via.
Appunto, il buttare via, cosa diversa dal buttare giù. Mia madre mi chiedeva di
leggere piano, non per assimilare ciò che leggevo, ma per non comprare
subito un altro libro. Anche mio padre la pensava così, e aveva ragione: i
soldi erano suoi. Poi c'era il criterio dell'utilità, sacrosanto anche quello:
"Leggi i libri di scuola o le stronzate?". Le stronzate erano gli
scrittori che leggevo per simpatia e non per dovere. I miei avevano ragione anche lì, perché di tempo ne ho speso o sprecato tanto, facendo quello che mi pareva. Mi hanno insegnato a non perdere tempo,
eppure io nella mia vita non ho fatto altro. Le mie ore più belle le ho trascorse fissando il soffitto della mia stanza. Mia madre si preoccupava:
temeva di avere messo al mondo un infelice. Non era così: la mia armonia con la
vita era assoluta. Mio padre invece si preoccupava perché accumulavo libri, li ammonticchiavo sul letto, sul divano, sul pavimento, li allineavo lungo le commessure delle mattonelle. Si chiedeva cosa ne facessi. Temeva che sarei
diventato un intellettuale, un ciarlatano segaiolo, e devo dire che ci è
andato vicino (non parlo dell'intellettuale). Mio padre aveva un disprezzo profondo per gli
intellettuali: non tutti, solo quelli che biascicavano aria. A meno che non lo
facessero per vincere una causa in tribunale: lì il fumo delle parole aveva un senso. Un pomeriggio di giugno, passavamo davanti a una libreria; mio
padre mi disse: "Se vuoi, puoi comprarti un libro". Era il suo paterno, materno
imprimatur al vizio da cui sperava che sarei guarito, prima o poi.
Gatto collaborazionista con Giuseppe Ungaretti Dopo due giri nella lavatrice l'anima del gatto è un po' meno sua con un orecchio ascolta il notiziario l'altro è una conchiglia per il tuo pianto una vibrissa ti cerca parole come il naso del servo il suo padrone. Capita anche a loro di contraddirsi: lavoreranno per la polizia i gatti che appallottolano versi e li regalano senza pentimenti al primo confessore di passaggio - nessuna posa da bottega del mistero -; i segreti li mettono da parte per le conferenze degli anti-poeti, solo per loro soffiano endecasillabi solo per loro inarcano la schiena come i gattacci di Pasolini.
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