You can barely fit
inside your name.
You see the almost
full moon
of the letter it
starts with
you have the illusion
you’re resting your back there
it promises to be so
round and soft.
Instead it is the
unfortunate
consonant of Come on?
Can you?
when you hear your
name uttered
you recognize the
fearsome casting-off
the summons of the
border guard
to declare something
to her.
Just your name;
the heretical look of
the officials
who pass it around
from mouth to mouth
breaking it down to a
word they can trust.
They look at you
lurking behind their eyelashes
they ask you to show
proof of your worldly inconsistency.
Proof sealed in your
name.
You’re not all the
way inside your name:
a little bit always
pokes out
a foot hanging over
the edge
but it’s not a
hammock you can’t be comfortable there
remain silent make
yourself wait:
it’s an icepick for
sticking in your side
scraping at the
varnish—as they call it—
of being-appearing
shaving off that
little bit of color
that resembles a
smile
and a two-syllable
sound
that kicks off the
investigation:
whoever calls you by
name
wants to learn you to
take you in reluctantly
to deal with you one
centimeter at a time
or worse all at once
from top to bottom
from the tip of your
hair to the trail of your breath.
Whoever says your
name turns you around
without asking your
permission
and you hope your
name
hides you in a cowl
from the people in
front of you
and around you who
all have the same name
different from yours
so empty
that sounds like that
of a redskin Indian
(you know the men who
scowl and are clouds
or make war and are
flashes in the night
or unsleeping
falcons: the proper name
to each his own
made of a bread not
for sharing.)
You happen to die
and then your name
melts all over you
sparkles like a tin
can
tied to the tailpipe
of a car without a groom
and you stay right
where you started.
They carve it in wood
on the license plate
that lights up your
empty place
and you from the egg
to which you returned
the soul mixed with
the giblets
from behind the husk
in which you sit still
in your new body
with your liquid
nails
you can’t remove it.
The name that goes on
clearing its throat
under the moon and under
the sun
even if it has
forgotten you.
Il nome
Il tuo nome fai fatica a
starci dentro.
Vedi la mezza luna quasi piena
della lettera con cui
comincia:
ti illudi di riposarci la
schiena
tanto è rotonda e morbida la
sua promessa.
Invece è la consonante
inopportuna di Come? Cosa?
Quando senti pronunciare il
tuo nome
riconosci dall’abbrivio
spaventoso
l’invito della guardia di
confine
a dichiararle qualcosa.
Giusto il tuo nome;
l’espressione eretica delle
impiegate
che se lo passano
rimpicciolito
di bocca in bocca per
credere a una parola.
Ti scrutano in agguato tra
le ciglia
ti chiedono di esibire le
prove
della tua inconsistenza
terrena.
Le prove sigillate nel nome.
Non ci stai dentro tutto nel
tuo nome:
spunta sempre un pezzetto
un piede che dondola dal
bordo
ma non è un’amàca non ci
puoi stare comodo
rimanere in silenzio farti
aspettare:
è un punteruolo per entrarti
nel fianco
grattare la vernice - la
chiamano così -
dell’essere-apparire
raschiare quel po’ di colore
che somiglia a un sorriso
ed è un suono di due sillabe
che dà il via allo scavo:
chi ti chiama per nome
vuole impararti saperti
controvoglia
occuparti un centimetro alla
volta
o peggio tutto insieme da
radice a radice
da quella dei capelli a quella
dei respiri.
Chi ti nomina ti ribalta
senza chiederti il permesso
e tu speri che il tuo nome
ti nasconda in un cappuccio
a quelli che hai davanti
e intorno tutti con lo
stesso nome
diverso dal tuo così
disabitato
che suona come quello di un
indiano pellerossa
(sai gli uomini che si
accigliano e sono nuvole
o fanno la guerra e sono
lampi notturni
o falconi insonni: il nome
personale
a ciascuno il suo
fatto di un pane che non si condivide.)
Ti capita di morire
e allora il nome ti si
scioglie addosso
sbrilluccica come un
barattolo
legato alla marmitta di
un’auto senza sposo
e tu rimani lì da dove sei
partito.
Lo incidono sul legno sulla
targa
che illumina il tuo vuoto
e tu dall’uovo in cui sei
rientrato
con l’anima mischiata alle
frattaglie
da dietro al guscio in cui
te ne stai composto
nel tuo corpo nuovo
con le tue unghie liquide
non riesci a cancellarlo.
Il nome che continua a
schiarirsi la voce
sotto la luna e sotto il
sole
anche se ti ha dimenticato.
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