(Drawing Hands, litografia di M. C. Escher, 1948) |
Da bambino avevo una discreta attitudine per il disegno. Non un vero talento, un’attitudine, che mi consentiva di disegnare un po’ meglio dei miei compagni di scuola. Tutti disegnavano omini fatti di stanghe, un cerchio al posto della testa. Io cercavo di dare una dimensione più profonda alle figure: gonfiavo la stanga del tronco, e magari ci mettevo un cuore dentro, pompavo i bicipiti sulle stanghe delle braccia, tiravo la pasta delle mani e già che c’ero le rifinivo, aggiungevo le unghie. Questo a casa, quando disegnare era un gioco. A scuola, dove il disegno era un lavoro, lo sprofondo in una miniera, no: tracciavo linee e cerchi come tutti. Avevo paura di essere giudicato strano, il che magari accadeva lo stesso; ma non era un giudizio incollato al mio modo di disegnare.
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